IL TATUAGGIO SACRO E PROFANO DI LORETO “, dal racconto di Antonio Stoppani nel libro IL BEL PAESE 1876

Ad anticipare i racconti della Caterina Pigorini Beri con il suo libro  “Costumi e superstizioni dell’Appennino marchigiano (1889)”, ne troviamo un altro del 1876 in cui l’autore Antonio Stoppani narra le caratteristiche, le bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia partendo dalle Alpi arrivando fino all’Etna . Il suo viaggio, che attraversa l’Italia in lungo e in largo, inizia nel 1865 e solo dopo 11 anni esce la sua pubblicazione intitolata “IL BEL PAESE”.

“Il piano del libro è del resto semplicissimo. Senza obbligarsi ad una traccia regolare, come si farebbe in un trattato, l’autore, pigliando la veste di uno zio naturalista che racconta i nipoti, percorre da un capo all’altro il Bel Paese. Narrando ciò che egli stesso ha veduto e sentito, l’autore ha la coscienza di avere assicurato al suo libro ciò che esige specialmente la moderna letteratura, cioè la verita’. Riducendo ad una serie di conversazioni familiari ciò di cui è solito intrattenersi con i parenti, con gli amici, con le persone più familiari, potrebbe anche lusingarsi che al libro non dovesse mancare il pregio della naturalezza.”
A differenza della Caterina Pigorini Beri (1889), che scrisse del tatuaggio sacro e profano su base di racconti dei Loretani, senza vedere pero’ la pratica dei marcatori all’opera perché gia’ vietata nel 1871 dal comune di Loreto, lo Stoppani, scrive e descrive ciò che vede con i suoi occhi nel 1865, prima di questo divieto.
Nella IX serata, intitolata “Loreto e la levata del sole”, l’autore arriva ad una  Loreto brulicante di pellegrini il 7 settembre, vigilia della Natività di Maria.
Non mi soffermo a raccontare ciò che scrisse sugli abiti dei Loretani, ne sulla sua esperienza all’ interno della Santa Casa con i pellegrini, ma riporto qui sotto il suo racconto in merito al tatuaggio sacro e profano dei marcatori.

“Loreto in quel giorno era tutta un frastuono di mille cembali, che ripetevano incessantemente, sullo stesso tuono, la stessa cadenza. Le donne principalmente erano implacabili. Vidi delle vecchie trasportate tanto e più delle giovani da quel furor cembalistico, ch’e’si sarebbe detto ridestassero con quel suono gli spiriti, onde era si balda la loro giovinezza.
Fin qui nulla di male. Veder gente allegra è cosa che mette indosso l’allegria. Ma, osservando in quel tramestio, mi vennero veduti, a breve intervallo l’uno dall’altro, certi deschetti, come quelli dei nostri ciabattini, nani e sudici egualmente. In piedi, davanti a ciascun deschetto, miravo un uomo, che faceva saltare e risuonare, a guisa di nacchere, certi quadrelli in legno, di cui un buon numero vedevasi accatastato sul desco. Evidentemente quegli uomini invitavano la gente a un qualche cosa, che io non capiva. Che faccia triste, arcigne, bitorzolute!… Che facce briache, ributtanti!… stetti a vedere, ne ebbi ad aspettare troppo a lungo per assistere, nel cuore dell’Italia, ad una scena la più indecorosa di tatuaggio.
Di tatuaggio? Domandarono quasi tutti ad una volta i nipoti, che nome è a codesto?
Come? non vi avvenne mai di leggere questa parola nei libri di geografia, nei racconti di viaggi, ecc?
Il tatuaggio è un’operazione crudele del pari che stupida, la quale ciò nondimeno è in grande onore nell’ Australia e nelle isole dell’Oceania. Essa consiste nell’istoriarsi il corpo con figure diverse, incise a
sangue nella pelle, e rese indelebili, mediante una tintura qualunque, che si fa assorbire dalla piaga.
Deve essere bello a vedersi… osservo’ Giovannino.

Mio caro, ripiglio’ Giannina; deve essere orribile! Faranno paura… Ma come sono quelle figure? domandò Marietta. Ciò dipende, risposi, dal buono o dal cattivo gusto… Volevo dire dal diverso genere di cattivo gusto.. punto di ciascuno. I selvaggi dell’Australia si fanno delle piaghe profonde, per ottenere, con le escrescenze delle cicatrici, disegni in rilievo sul volto come li ottengono i nostri credenzieri, schizzando dello zucchero a colori sulla bianca di accettata zuccherina di una torta di pan di Spagna.
Gli uomini delle Isole Radach (Oceania), in luogo di provvedersi il panciotto, se lo incidono addosso senz’altro: un bel panciotto a due petti, con occhielli, bottonatura e ricami, cui la pelle serve ad un tempo di stoffa e di soppanno. Non ci mancano che i taschini…Le donne delle isole Sattikoff spingono la civetteria fino a ricamarsi addosso una camiciola tutta d’un pezzo, che copre loro le spalle, le braccia, e termina con eleganti polsini, cui tengon dietro i guanti, sempre della stessa stoffa. Ma i più strani a vedersi sono gli indigeni della Nuova Zelanda, il cui corpo è tutto istoriato di geroglifici, di figure simboliche, tutto rebescato a guisa di uno sciallo di cachemire, o di una di quelle serie di pelle damascata, delle quali vi ha ancora qualche reliquia nelle case dei nonni, nelle sacrestie e nei conventi. Il volto specialmente è adorno di incisioni, collo spreco che si addice ad un frontispizio di una edizione di lusso. La fronte, la ciglia, le guance, il mento, il naso, e fin l’orlo intorno alle narici, tutto è barbaramente cesellato a sangue.
Ma son tutti così ad un modo gli abitanti della Nuova Zelanda? Domandò la Lucia.

No; La si fa sfoggio di tatuaggio, come da noi di stoffe, di merletti, e di pettinature. Leggete il Voyage pittoresque autour du Monde, da cui ho preso quel poco che vi ho raccontato intorno al tatuaggio.
Quando leggevo quel libro, credevo che fosse necessario veramente, per assistere all’operazione del tatuaggio, di sfidare l’oceano; ne mi garbava punto di trovarmi, per si poco, con quei cannibali: ed ecco che il tatuaggio venne lui a trovarmi, qui in Italia.
Come? Interruppe la Camilla quasi offesa. Non ho mai sentito dire che da noi si usasse una si brutta cosa, nemmeno nei tempi più antichi.
Come? risposi. Non hai tu stessa le orecchie traforate dagli orecchini? Se codesto non è tatuaggio, è certamente un avanzo di altri simile barbare costumanze, che si conservano in fiore del pari presso i selvaggi. Del resto, non ti dissi or ora che dovetti assistere io, proprio io in persona, ad una scena di pubblico tatuaggio? Sapete che cosa erano quei quadrelli di legno, che io vedevo ammucchiati su quei luridi deschetti? Erano tavolette rozzamente scolpite, e ciascuna figurava un santo, una madonna, una croce, si che Gli avventori potessero farvi scelta di quelle figure, di quei simboli religiosi, cui preferissero di vedere stampati sulle loro carni. Sulle carni? In che modo? Domandarono i fanciulli.
Ora l’udirete.
Mentre mi teneva ritto a osservare davanti ad uno di quei deschetti, eccoti farsi innanzi una fanciulla, dal viso fresco, dall’area ingenua e sorridente. Sceglie non so qual simbolo o Santo, e abbandona il braccio indifeso a quel brutto ceffo, che teneva il deschetto. Un pittore ci avrebbe subito trovato il soggetto di un quadro piccante: il demone della malizia che adocchia malignamente l’angelo dell’inconsapevolezza. Quel turpe uomo cominciò a tingere di una vernice nera i tratti salienti dell’incisione; poi applico la tavoletta a quel povero braccio, premendola in guisa, che i tratti dell’incisione vi rimanessero stampati in nero; poi diede principio alla ignominiosa carnificina. Impugnato uno stiletto d’acciaio, con la mano quasi animata da un tremito convulso, cominciò a punzecchiare, a ferire a sangue la poverina, passando e ripassando sui tratti dell’incisione, sicché tutto quel sudiciume venisse assorbito.
Ma non sentiva dolore? saltarono a dire parecchi insieme, mentre gli altri o chiudevano gli occhi, quasi per non vedere, o si raggomitolavano, come per non sentire, o ispiravano l’aria attraverso i denti chiusi, emettendo un lungo sibilo, come sentissero uno spasimo veramente.
Se non sentiva dolore?… immaginatevi… storceva la bocca, stralunava gli occhi, crescendo col crescendo dell’operazione; finché prese il moccichino fra i denti, e lo mordeva, fremendo, con le guance rosse, con gli occhi gonfi… ma… il braccio immobile, come quello di Muzio Scevola.
Ma se sentono dolore, domandò la Giannina, perché lo fanno? Chiedilo ai selvaggi dell’ Oceania. Un viaggiatore fece la stessa dimanda, che tu mi fai, ad un Nuovo Zelandese, mentre assisteva alla crudele operazione del tatuaggio, eseguita con una punta di osso, così senza misericordia, che il sangue fluiva abbondantemente. Sapete che cosa gli rispose il selvaggio sorridendo sdegnosamente? Eh! questo non è nulla. Vuoi vedere ciò che fa veramente soffrire? E così dicendo, additava sopra se stesso i disegni che adornavano gli angoli degli occhi, le labbra, e soprattutto i lembi della parete che divide le narici. Anch’io, stomacato e stizzito di quella barbaria, che vi ho descritta, mi volsi al primo che mi trovai a fianco, e dissi, quasi me la pigliassi con lui, come si fa con la prima vittima che si incontra, quando si è arrabbiati: Codesto è un abuso! una indecenza!…

che vuole? Mi rispose con molta pace il Loretano; qui si costuma così. E si costumava davvero così, se ce n’era abbastanza, per tenere in piedi quattro o cinque di quelle officine, come me ne assicurava il fatto, e il vedere camminare misti alla folla diverse persone che avevano già subita l’operazione, e si tenevano sbracciate, o per paura di lordarsi le maniche, o perché quel bell’ affresco facesse miglior presa. E mi pareva che le autorità locali avrebbero dovuto impedire quel turpe mercato, non foss’altro, per ragione di decenza. Mi sapeva male, del resto, che i forestieri, i quali, traggono numerosi a quel celebre Santuario, ne prendessero occasione di accusare noi di barbarie; e di superstizione il nostro culto e le nostre credenze. Ma finiamola con queste cose spiacevoli.”

Cosi’ lo Stoppani nel suo libro  riferisce della sua esperienza con oltatuaggio Lauretano

Al di là dell’opinione personale dell’autore, egli rimane l’unico scrittore ad aver testimoniato la sua esperienza realmente vissuta.

Il mio pensiero circa la tradizione del tatuaggio mi porta a dire che l’essere umano per vivere bene il presente e per pensare al futuro deve necessariamente conoscere il passato, da dove viene, la sua storia. Con condizioni igieniche decisamente migliori, quindi non paragonabili, penso si debba essere felici che una tradizione del passato sia ritornata in auge.

KEEP THE TRADITION ALIVE

Jona