Il tatuaggio del terrore

Caro lettore, ti invito a leggere questo articolo per cui sono stato molto combattuto.

Il dilemma deriva dall’ argomento trattato, perché rappresenta una pagina orribile della nostra storia che origina in ognuno di noi emozioni tristi.

Il tatuaggio è espressione di percorsi, viaggi e storie.

Finora non mi era mai capitato di imbattermi sul tatuaggio del terrore, di infamia, di schiavitù. Il tatuaggio purtroppo è anche questo, ma trovarsi in mano qualcosa che è materialmente una prova di sofferenza, vi assicuro che è un’esperienza segnante.

Mentre ero alla ricerca di materiale per la mia collezione privata, alcuni piccoli stampi hanno attirato la mia attenzione.
Sono i numeri che venivano tatuati agli ebrei rinchiusi nei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Sono prove del tatuaggio identificativo( Fig.1)

(Fig.1)

Tra il 1933 e il 1945, sotto il regime nazista del terzo Reich, venivano utilizzati per marcare e contare i milioni di prigionieri. Inizialmente ciascuno di loro veniva identificato con un numero in stoffa cucito sulle casacche. Con l’alto numero di decessi, diventò però difficile identificare i cadaveri perché spesso i vestiti venivano rimossi  per essere riutilizzati.

Il personale medico, quindi, cominciò la pratica del tatuaggio sui prigionieri. Il numero veniva apposto sulla parte sinistra del petto o sull’avambraccio.

I soli due campi di concentramento dove venne praticato il tatuaggio furono Auschwitz e successivamente Birkenau.

Non è quindi corretto credere che questi tatuaggi fossero utilizzati in tutti i lager. Solo i detenuti che passavano per Auswhitz avevano questi marchi. Gli stampi che sono entrati a far parte della mia collezione, sono piccoli (9mm × 150mm, h 8mm), con base in metallo e chiodi appuntiti disposti in modo da formare un numero o una lettera combinandoli tra di loro (Fig.2).

(Fig.2)

Queste piccole tessere metalliche venivano inserite in una pinza attraverso la quale veniva perforata la pelle dei prigionieri (Fig.3).

(Fig.3)

Ai buchi della ferita aperta seguiva l’apposizione dell’inchiostro che, per assorbimento, penetrava nella pelle. Ad alcuni ebrei apponevano la lettera z dal tedesco “zigeuner” (zingaro). Le lettere “A” e “B”(Fig.4) indicavano particolari serie.

(Fig.4)

Le testimonianze storiche mostrano che per gli uomini la serie “A” raggiunse un limite numerico di 20.000 per poi passare alla “B”. Per le donne questa seconda serie, stante la documentazione, non ha mai avuto inizio.
Presto il tatuaggio con gli stampi risulto’ poco pratico e molto impegnativo, quindi fu sostituito dall’ ago singolo che marcava il braccio sinistro degli ebrei (Fig.5).

(Fig.5)

Il ritrovamento di questi piccoli stampi ha suscitato in me un sentimento di profondo dolore. Lo stesso che avevo provato circa 8 anni fa, quando un distinto signore ultra ottantenne è venuto nel mio studio per ribattere e ripassare la serie di numeri che gli erano stati tatuati proprio ad Auschwitz. Grazie a lui ho approfondito il tema del tatuaggio di schiavitù e del terrore.

Caro lettore, giunto a questo punto ti lascio vivere le tue emozioni.

Mi permetto solamente di sottolineare un aspetto: ciascuno di noi è libero di farsi tatuare ciò che vuole, quando vuole, dove vuole. Quanto scritto finora, invece, e’ un ulteriore esempio di imposizione, di dominio e di ferocia.

Per non dimenticare

Jona